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Frescos salvados a los SS. Marcelino y Pedro

La fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan ha sovvenzionato il restauro dei cubicoli dipinti delle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro sulla via Casilina

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RestauroMarcellinoPietro

 

LE CATACOMBE DEL DIALOGO E DELLA TOLLERANZA

Il 22 giugno del 2012, nella sede del Pontificio Consiglio della Cultura, è stata firmata una convenzione tra la Fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, riguardante una sovvenzione che ha permesso alla Santa Sede di restaurare un cospicuo numero di cubicoli dipinti delle catacombe romane dei santi Marcellino e Pietro sulla via Casilina. Il gesto generoso del presidente della Fondazione, Signora Mehriban Aliyeva, che con tanta sensibilità ha voluto contribuire alla valorizzazione di un sito archeologico cristiano estremamente prestigioso, ha permesso agli operatori della Commissione di fare un passo avanti, in vista dell’apertura al pubblico di una delle catacombe ancora poco conosciute, ma estremamente importante dal punto di vista storico e religioso, tanto che sin dal 2014, il sito archeologico è divenuto uno dei poli artistici della Roma sotterranea cristiana.
Questo atto, che ora giunge alla sua piena conclusione, costituisce un gesto di grande rilievo a livello simbolico: per la prima volta nella storia recente un’istituzione di una nazione musulmana sciita contribuisce in modo efficace alla valorizzazione di un monumento cristiano. È, quindi, un evento di particolare significato in cui il dialogo interculturale fa da battistrada al successivo dialogo interreligioso.
Tra l’altro, gli ottimi rapporti diplomatici che intercorrono tra la Santa Sede e l’Azerbaijan hanno fatto da sfondo a questa operazione che si accosta a un analogo intervento a favore del restauro di manoscritti azeri custoditi presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e di opere presenti nei Musei Vaticani. Un segno di dialogo, quindi, che ho potuto sperimentare anche personalmente durante le mie visite ufficiali in quel Paese che s’affaccia sul mar Caspio e che custodisce memorie storiche, espressioni di una passata coesistenza tra culture e religioni differenti.
Vorremmo ora offrire un profilo essenziale di queste catacombe. L’area dove sorsero, nel suburbio romano, era di proprietà imperiale. Si trattava, infatti, di un praedium appartenente a Elena, la madre di Costantino, che verrà sepolta proprio nell’area sovrastante le stessecatacombe, nel mausoleo a pianta centrale, oggi definito di Tor Pignattara. Quel mausoleo, in realtà, era stato edificato per l’imperatore Costantino, come dimostrano le scene di battaglia, scolpite sul sarcofago porfiretico, oggi conservato ai Musei Vaticani. Il progetto di realizzare una “nuova Roma” sul Bosforo, suggerì successivamente di seppellire l’imperatore nell’Apostoleion, l’edificio di culto costantinopolitano, che accoglieva le reliquie degli apostoli.
Fu così che il mausoleo della antica via Labicana venne riservato a Elena, il personaggio più impegnato nella conversione cristiana dell’impero. Il nostro sito, che si collega idealmente a Costantinopoli, fornisce una prima idea circa la stretta relazione tra le due parti dell’impero, ma anche tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, e fa balenare il tentativo di una coesione tra ideologie che tendevano a maturare sistemi di pensiero diversificati.
Entrando nelle sottostanti catacombe, si avverte infatti un’atmosfera caratterizzata da intense relazioni interculturali e da un dialogo religioso estremamente aperto. Sono proprio gli affreschi, che decorano i cubicoli e che sono stati restaurati appunto con il prezioso aiuto della Fondazione della Repubblica dell’Azerbaijan, a parlarci di questa interazione culturale. Essa, tra l’altro, propone alla nostra attenzione la composizione multietnica e multireligiosa della societas romana tardoantica. Questi affreschi riproducono, innanzitutto, storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, privilegiando quegli episodi, che sottolineano la via biblica della salvezza eterna, ma anche il valore del dialogo insito nello spirito del cristianesimo. Tra le scene emerge, ad esempio, il colloquio di Cristo con la Samaritana al pozzo (Giovanni, 4, 4-42): attraverso esso si vuole tradurre in figura il desiderio di comporre la storica ostilità dell’ebraismo nei confronti della comunità samaritana. Infatti, agli occhi dell’artista cristiano, la donna diventa la sintesi allegorica dell’Ecclesia ex gentibus, cioè della cristianità di matrice pagana, secondo un linguaggio simbolico estremamente caro al repertorio iconografico paleocristiano.
Ma nell’arte delle catacombe dei santi Marcellino e Pietro si riconoscono anche i segni, le immagini e le scene di un mondo pagano, profano, neutrale, ancora legato alla cultura ideale e religiosa della tradizione classica. Questo fenomeno - che rende particolarmente attuale questo intreccio tra diverse espressioni culturali e religiose - deve essere calato in quel clima di tolleranza che si era diffuso proprio al tempo dei Costantinidi.
È così che in un cubicolo della catacomba, insieme alle storie di Giona e alla figura del Buon Pastore, sono raffigurati i busti delle Stagioni, per esprimere un concetto più ampio della rigenerazione, che fluirà verso l’idea della Resurrezione. È così che un altro cubicolo è completamente decorato con figure di atleti, per “eroizzare” il defunto e rappresentare metaforicamente la sua apoteosi.
L’affresco più singolare rappresenta Orfeo, il mitico cantore trace che suonando la cetra ammalia gli animali selvatici e feroci. In questa figura e in questo mito di origine classica, convergono le idee dell’armonia e della dolce potenza persuasiva del suono, del canto e della parola. Si richiama, così, innanzitutto una generica tematica bucolica, capace di creare un contesto felice, tranquillo, beato e, dunque, un ameno habitat edenico, che permette di tradurre i Campi Elisi nel Paradiso cristiano.
Tuttavia, la figura di Orfeo, già debitrice – per quanto riguarda lo schema iconografico – al mito di Apollo guida delle Muse e all’immagine di Davide salmista, diventerà anche un simbolo cristologico, come ricorda Clemente Alessandrino, quando precisa che il Lógos è il vero Orfeo, capace di addomesticare le bestie malvagie e feroci, come il leone, il porco e il lupo (Protrettico, 1, 3). Orfeo e Cristo si sovrappongono, tanto che Eusebio di Cesarea spiegherà questa giustapposizione affermando: «Se Orfeo, con il suono della lira, ammansì le fiere (…) il Verbo di Dio fece di più: ammansì i costumi dei barbari e dei pagani» (Laudatio Constantini, 14).
Il complesso monumentale dei santi Marcellino e Pietro, dopo i recenti restauri effettuati per il contributo veramente prezioso della la Fondazione Heydar Aliyev dell’Azerbaijan, durante l’anno giubilare attualmente in corso, si incastona perciò come un gioiello nel quartiere romano di Tor Pignattara e diventa una meta irrinunciabile dei pellegrini, che stanno giungendo a Roma da tutto il mondo.

card. Gianfranco Ravasi